«Mi piace e chiedo di essere chiamata ministra», scrive Josefa Idem in un tweet.
E lo fa in modo così diretto e non ideologico, che è impossibile – complice la terra d'origine – non pensare ad Angela Merkel, prima donna alla guida della Germania: quando si pose il problema di come chiamarla, lei lo risolse con un pratico «la parola cancelliera (Kanzlerin) esiste, chiamatemi cancelliera». Poco enfatica, e definitiva.
Anni fa, alla scuola di giornalismo, Sergio Lepri, il mitico direttore dell'Ansa, fiorentino e con una dedizione quasi maniacale a un italiano pulito, non burocratico, moderno raccontò di come si rivolse a Susanna Agnelli chiamandola senatrice. Mi chiami senatore, rispose lei. «E lì capii che per molte non era una questione di genere, ma di status».
Memorizzai l'aneddoto, ma più di tanto non lo capii. Avevo 24 o 25 anni, e la battaglia lessicale del femminismo aveva per la mia generazione un che di antiquato o di astratto. Come dice Sheryl Sandberg, libere di studiare e di fare tutto ciò che facevano i maschi, credevamo che la questione di genere fosse stata risolta (salvo scoprire dieci anni più tardi che non era così).
Anni dopo, e dopo infinite discussioni – e pace ad Alma Sabatini e all'utile Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana che caldeggia soldata e avvocata – la battaglia linguistica e/o declinazione obbligata di tutte le parole al femminile ancora non mi convince. Ricorda troppo il voler piegare la lingua a uno scopo esterno, e quindi all'ideologia (c'è qualcosa di più buffo delle "formule corrette" inventate dai regimi?). Misura (involontariamente) lo scarto tra la realtà vissuta e quella programmata che risulta in varie gradazioni di impostura o ridicolo. Semplicemente, chi scrive o parla, ha bisogno di usare la lingua viva, che muta, progredisce e si normativizza da sé.
E quindi, tornando alla Idem, ministra? «Mi piace», dice lei (in tedesco, del resto, Ministrin lo dicono tutti). Però se ci fate caso, nelle conversazioni con gli amici ministra entra sempre più come parola neutra. Chi passa o titola pezzi per professione, ha visto quante volte una frase sarebbe filata meglio con il femminile ministra (no, Hillary Clinton segretaria di Stato ancora non suona, e Epifani che chiama la Camusso "la mia segretaria" fa pensare all'impiegata che gli fissa gli appuntamenti del giorno).
Però forse c'è di più: forse ministra si sta svuotando del suo carico d'eccezionalità o delle connotazioni negative, perché in realtà ci stiamo abituando non al lessico, ma a vedere donne in quel ruolo.
E allora, quella del ministro Idem non è una rivendicazione, se non una rivendicazione della normalità.